Ora leggendo
Il Tempio delle antitesi di Anish Kapoor

Il Tempio delle antitesi di Anish Kapoor

Avatar

Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia
(1 Cor 13, 12)

Solo un kilowatt di luce è dato all’uomo per sondare l’immane mistero della Creazione; ed oltre la soglia di ciò che è noto, nell’intermittenza palpitante della coscienza, la ricerca diviene esperienza di sé e dei propri simboli archetipici, percezione dei limiti dell’umana sapienza: “Dirty Corner” – itinerario emotivo viscerale dell’autore, calice rosso di Calla che porta al nettario, frutto di Melograno che conduce piuttosto alla simbologia ebraica – è il nome della coinvolgente rassegna che la città di Milano dedica attualmente alla dirompente energia creativa dell’Artista indiano Anish Kapoor, colmando di pregevole matrice concettuale gli spazi espositivi della Rotonda di Via Enrico Besana – fino al 9 di Ottobre – e della Fabbrica del Vapore di Via Procaccini, sede che ospita invece le monumentali installazioni del Maestro fino all’8 Gennaio 2012.
Curata da Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni, promossa e prodotta dall’ Assessorato alla Cultura del Comune di Milano in collaborazione con la società di produzione artistica MadeInArt – con il contributo della Fondazione dell’Azienda Elettrica Municipale – la duplice rappresentazione supporta la Fondazione Banco Alimentare devolvendo parte del ricavato delle sponsorizzazioni nonché fornendo di un corner per la raccolta di cibo entrambe le sedi espositive.

Nato a Bombay nel 1954 da padre indiano e madre ebrea irachena, Kapoor sperimenta sul pubblico la propria cultura globale – nonché il proprio vivido, emblematico repertorio segnico e cromatico – esponendo in primo luogo sé stesso, erigendo senza esitazione il proprio sensibile strumento di percezione: è una melagrana da percorrere sin dal calice fiorale della parte apicale del frutto, la monumentale installazione site-specific “Dirty Corner” (2011), che occupa interamente lo spazio della “Cattedrale” alla Fabbrica del Vapore; è l’organo infinitesimale della percezione, reso macroscopico alla luce dell’Arte. Antro d’acciaio ossidato color ambra lungo ben 57 metri, con un’imboccatura che si allarga fino ad un’altezza di 7, l’opera si apre a calice per coloro che desiderano varcare in silenzio l’ineffabile, per condividere un’enorme emozione; un kilowatt di luce è tutto ciò che viene offerto al senso primario, i propriocettori registrano le alterazioni volumetriche di una rotta sconosciuta. Come già in “Memory” (2008, Deutsche Guggenheim di Berlino), il visitatore si addentra in una forma complessa – Tempio “degli opposti: vuoto/pieno, buio/luce, maschile/femminile, positivo/negativo, materiale/immateriale” (G. Mercurio, D. Paparoni) – per compiere un rituale: mentre un nastro trasportatore lascia cadere terra mista a pigmenti rossi sulla sommità del corpo centrale della scultura, in modo da innalzare progressivamente un cono, come un Grande Sacerdote il pubblico diviene inaspettatamente strumento metafisico seppur della materia.

Solo spingendo lo spettatore oltre la soglia ed isolandolo dalla luce naturale, convogliando i sensi suoi straniti in un tunnel materno, la macrostruttura sensoriale di Kapoor può innescare il rituale: tornare al silenzio, al vuoto, oltre le sensazioni. Tornare al tempo in cui il mondo era “tohu vavohu” – informe e vuoto e chiuso da materia tenebrosa ed infuocata – prima della Creazione, per riedificare il principio.

La Choshech copriva la superficie dell’abisso” (Gn 1, 2)

e schermava gli astri. “My Red Homeland” (2003) – enigmatico giradischi materico di 12 metri di diametro, ospitato invece alla Rotonda di Via Besana – è una Choshech plasmata con cera rossa e vasellina disposta in un’ampia struttura metallica a cerchio, “Patria rossa” del cuore dell’artefice, profonda infuocata coltre da fabbricare con braccio metallico connesso a motore idraulico; è al medesimo tempo l’energia da alimentare ed il sigillo per arginarla: brucia per deformare la materia – snaturarla allontanarla privarsene – ingigantendola.
Se multiforme nonchè polisemantico risulta essere ciò che appare materico, la porta d’accesso alle opere si rivela invece la medesima come anche lo stesso è il rituale da compiere: l’artefice chiede alle proprie installazioni di schiudere l’energia necessaria ad apportare una profonda riedificazione sensoriale, in quanto al buio ed in segreto gli occhi possono forse ricominciare a vedere e l’anima a sentire; come già in “Madonna” (1989-1990) – esterno/interno da custodire, ovvero ampio grembo blù cobalto da misurare ed al contempo abisso circolare in cui perdervisi – anche in “Ascension” (2003) e in “Sky Mirror” (2001) le superfici riflettono aliti di vita, sfaccettature insolite di stato fisico e materia, riedificazione.
Esposti alla Rotonda di Via Besana, “S-Curve” (2006), “C-Curve” (2007), “Non Object (Door)” (2008) e “Non Object (Plane)” (2010), sono specchi imponenti che aspettano di essere sondati; la realtà che vi è assorbita si frantuma per ricomporsi all’esterno, perché ognuno ritrovi le sue forme archetipiche ed ascolti la ciclicità del tempo finalmente fluire nei limiti contingenti. L’uomo è “unità cosmologica” per Kapoor (G. Mercurio, D. Paparoni), ed il suo percorso è intrinsecamente drammatico: ogni viaggiatore è un cuore di stelle, ogni palpito ha la propria “Patria rossa” da trovare – tempio, tempesta, coraggio, ricerca abissale – e da lasciare, per tornare al firmamento.

Giada Eva Elisa Tarantino

Guarda anche

http://www.anishkapoor.com/

http://www.anishkapoormilano.com

http://www.fabbricadelvapore.org/it/

Visualizza commenti (0)

Lascia un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

© 2021 1channel. Tutti i diritti riservati.

Scorri verso l'alto