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Zara contestata in Cina

Zara contestata in Cina

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La settimana scorsa, Zara si è trovata al centro dell’attenzione della stampa cinese. Il marchio spagnolo è stato criticato per la qualità dei suoi prodotti. Le colonne del quotidiano “China Daily”, soprattutto, mettono in risalto i risultati di test resi pubblici dall’associazione dei consumatori di Pechino (BCA). Esami condotti in laboratorio che mettono alla prova la qualità e la pericolosità di 57 pantaloni di brand cinesi e internazionali.
In totale, sono 20 i capi ‘presi in castagna’, di cui sei prodotti da aziende internazionali. Se il pantalone della cinese Jin’e fa registrare la presenza di formaldeide (un irritante degli occhi, del naso e della gola, classificato nel 2005 dall’OMS come un prodotto cancerogeno per l’uomo), quello di Zara è additato per difetti di colore ed errori sull’etichetta. Nel pantalone testato, l’azienda spagnola scrive sulla label una composizione al 75% di cotone, 20% di lana e 5% Terilene (più noto come Terital), ma secondo il risultato contiene meno del 70% di cotone e poco più del 10% di lana. Comunque, anche Hush Puppies, Mcm, Mcs (ex Marlboro Classics) e G-Star sono nella lista.
“Quello che ci sconcerta di più, non è che i prodotti di Zara continuino a non superare i test, ma è il loro silenzio a proposito della qualità dei loro prodotti in Cina”, spiega, in maniera molto diretta, Dong Qing, vicepresidente della BCA, al “China Daily”. “Non penso che abbiano un comportamento così arrogante anche altrove. Il loro comportamento qui non corrisponde alla loro immagine internazionale”.
Come molti brand di lusso, che avevano subito forti critiche sui loro prodotti, Zara sta affrontando accuse di questo tipo sin dal suo arrivo in Cina. “In realtà”, continua Dong Qing, ”alcuni marchi cinesi sono più attenti alla qualità dei loro prodotti di molti marchi rinomati, perché essi non possono invogliare i consumatori all’acquisto unicamente grazie al nome che portano”. Alla luce di queste dichiarazioni così perentorie, resta difficile stabilire se si tratti di reali problemi di qualità o di vecchi screzi mai sopiti e conseguenti relazioni diplomatiche che continuano ad essere tese con le associazioni di consumatori cinesi.
Da parte sua, Inditex mantiene un profilo basso e precisa: “I nostri prodotti sono in adeguamento con le esigenze di salute pubblica in Cina. Tutti i test chimici sono negativi. Per quanto riguarda l’informazione sulla composizione in etichetta, il dipartimento di controllo qualità di Zara sta lavorando per correggere questo errore e per evitarlo in futuro. Inditex apprezza e ringrazia dei suoi sforzi la BCA per il suo aiuto volto a migliorare l’informazione per i suoi consumatori e si propone di lavorare congiuntamente in questa direzione”.

Malgrado questa dichiarazione, il presidente dell’associazione pechinese, con tono perentorio, promette: “Continueremo a testare la qualità dei prodotti Zara. Se continueranno a vendere prodotti che non corrispondono agli standard, potremmo chiedergli di lasciare Pechino. I marchi stranieri devono rispettare le norme e i consumatori cinesi”. La minaccia è certo poco velata, ma va comunque ben al di là delle prerogative e dell’autorità di un’associazione di consumatori. Pertanto, quale può essere il peso da dare a queste dichiarazioni?

“Generalmente, non smetto di comprare un brand se mi piace veramente il suo design”, spiega Sharon, una consumatrice cinese. “In realtà, io non guardo veramente alla percentuale di cotone, siccome non ho rischi di allergia ad esso. Però, essendo un’azienda internazionale, dovrebbero essere onesti. Ci penserò due volte prima di comprare dei loro prodotti la prossima volta”.

“L’impatto, la ricaduta sul brand talvolta può essere notevole”, conferma Sébastien Breteau dell’ufficio AsiaInspection, specializzato nel controllo qualità, “come per esempio nel caso del boicottaggio di Carrefour a seguito della vicenda riguardante il passaggio della torcia olimpica a Parigi, ma i suoi effetti raramente perdurano nel tempo. La Beijing Consumer Association (BCA) è collegata alla Chinese Consumer Association (CCA). Queste associazioni ricevono delle sovvenzioni governative e delle donazioni dai loro membri. Anche se ci è permesso di nutrire dubbi sulla loro totale imparzialità, la maggioranza dei prodotti testati sono fatti in Cina e proteggere il marchio “Made in China” è una priorità del governo. In più, fra le marche incriminate alcune sono cinesi o di Hong Kong. L’importante, per i brand come Zara, è ovviamente di comunicare e di dimostrare che hanno messo in atto delle azioni correttive attraverso dei test in laboratorio e dei controlli qualità lungo tutto il processo di fabbricazione”.
Perché su questo mercato la posta in gioco è alta per Zara. Il marchio infatti può contare su un centinaio di boutique in Cina e si è lanciato in una vera strategia di sviluppo con numerose aperture previste nel Paese nel 2011. Nella feroce concorrenza che infuria su questo mercato, Inditex non vuole a nessun costo arrivare in ritardo. Per farcela, il gigante iberico dovrà dunque migliorare la qualità dei suoi prodotti … e delle sue pubbliche relazioni.

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Fonte Fashion Mag

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