Imprese calzaturiere a rischio nel Veneto a causa dei laboratori cinesi
“La qualità, con cui ci vendiamo all’estero, va a farsi benedire in onore ai profitti facili – tuona Federico Barison presidente dell’Atv – è intollerabile che i prodotti realizzati da laboratori cinesi che operano in maniera irregolare e in condizioni spesso disumane vadano a finire nelle boutique dell’alta moda di mezzo mondo, a prezzi da capogiro”.
“La riprova sta in una semplice constatazione: per la produzione delle tomaie il costo è di 18 euro all’ora – spiega Barison – di cui 15 euro riguardano il costo del lavoro dipendente, 2 euro sono i costi generali d’impresa e rimane 1 euro di margine lordo, su cui poi si devono pagare anche le tasse. Ma dopo un mese di lavoro ci presentiamo per ottenere la commessa, ma veniamo scalzati dai cinesi che si propongono con 9 euro all’ora; e non sono certo le economie di scala a garantire questo dimezzamento – conclude Barison – basta tenere in considerazione i risultati degli ultimi controlli della Guardia di Finanza in alcuni di questi laboratori”.
L’alternativa ai cinesi, utilizzata spesso dai calzaturifici del Brenta è quella di importare i semilavorati dall’estero. “Accade così – spiega Rosanna Toniazzo di Cna Fedemoda – che l’80% delle scarpe della Riviera del Brenta, non viene realizzato dalla filiera artigiana regolare, ma da aziende operanti all’estero o imprese cinesi irregolari in Italia”.
Per salvare la filiera e soprattutto garantire la qualità, l’artigianalità, la tradizione del prodotto made in Riviera del Brenta è opportuno, dicono Cna e Atv, non solo intensificare i controlli delle Autorità di vigilanza, ma anche realizzare un marchio di tracciabilità del prodotto. ”E’ inutile chiedere alla Regione interventi a pioggia per risollevarsi dalla crisi – conclude Toniazzo – occorrono invece interventi mirati che valorizzino la filiera”.
Yulia Shesternikova