Le dimissioni del Dalai Lama
In occasione del 52° anniversario delle rivolte contro l’occupazione cinese del Tibet, il Dalai Lama ha annunciato la sua decisione di dimettersi dal ruolo di guida politica dei tibetani. Nel suo discorso, tenuto a Dharamsala in India dove è in esilio Tenzin Gyatso ha spiegato: “fin dagli anni ’60 ho ripetutamente sottolineato che la nostra gente ha bisogno di un leader, eletto liberamente, a cui io trasmettero’ il potere”. “Adesso – ha ancora detto – è venuto il momento di passare dalle parole ai fatti. In occasione della imminente 11/a sessione del 14/0 Parlamento tibetano in esilio, che comincia il 14 marzo, proporrò formalmente che si facciano i necessari emendamenti alla Carta dei tibetani in esilio che riflettano la mia decisione di restituire la mia formale autorità al leader eletto”.
Chi è il Dalai Lama
Il Dalai Lama è la massima autorità spirituale del Buddhismo tibetano, a capo della scuola Gelupa, ovvero dei Virtuosi, Dalla metà del 1600 fino al 1959 è stato anche la più alta autorità temporale del Tibet. L’attuale Dalai Lama, il quattordicesimo, è Tenzin Gyatso, nato a Taktser, nell’Amdo, risiede in India dal 1959, a causa dell’occupazione cinese, A Dharamsala risiede anche il cosiddetto Governo tibetano in esilio. Tenzin Gyatso ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1989 per la resistenza non violenta contro la Cina.
Le successioni del Dalai Lama avvengono per reincarnazione. A individuare la reincarnazione del Buddha della Compassione è chiamato lo stesso Dalai Lama aiutato dalla seconda autorità spirituale il Panchen Lama.
La rivolta del 1959
Senza andare troppo indietro nel tempo basta ricordare che la Cina ha sempre tentato di trasformare il Tibet in una sua colonia. Già a partire dal “Trattato di liberazione pacifica” del 1950 stipulato con l’attuale Dalai Lama (all’epoca Tenzin Gyatso aveva 16 anni ed aveva appena assunto i poteri spirituali) impose una presenza militare nel paese, soprattutto nella capitale Lhasa. Nel 1952, grazie agli aiuti economici offerti dal governo, i cinesi iniziarono a trasferirsi in Tibet rendendo i tibetani di fatto una minoranza. Nel 1954 Mao e i leader comunisti definirono il Buddismo un “veleno” e iniziò la sistematica distruzione del culto e della cultura dei tibetani. I monasteri vennero distrutti e ci furono arresti di massa tra i dissidenti. Questo portò ai primi episodi di resistenza armata dei tibetani all’occupazione cinese che culminarono nel 1959 in una sollevazione popolare dell’intero Paese a cui parteciparono anche i monaci buddisti. La repressione della Cina fu violentissima, l’intervento in massa dell’esercito provocò un massacro della popolazione tibetana. Il 17 marzo 1959 il Dalai Lama abbandonò Lhasa per cercare asilo politico in India.
La reazione della Cina alle dimissioni
La Cina rivendica per se il diritto di individuare la reincarnazione del Dalai Lama. Nel 1995 fece arrestare, e da quel momento sparì, il decimo Panchen Lama.
Nel discorso diffuso oggi il Dalai Lama si è rivolto alla Cina precisando che il Tibet non pretende l’indipendenza ma che gli venga riconosciuta una “significativa autonomia”
In risposta da Pechino la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, ha detto: “Il Dalai Lama – e’ un esiliato politico che sventola la bandiera della religione e svolge attivita’ per separare la Cina. E’ il capo di una gang politica di separatisti tibetani. Per molto tempo ha detto di volersi ritirare. Crediamo si tratti semplicemente di un trucco per ingannare la comunita’ internazionale”.
Yulia Shesternikova Fonte Laogai