Celeste “Aida” nella notte di Milano
“Amore, Amore! Gaudio, tormento,/ Soave ebbrezza, ansia crudel!/ Ne’tuoi dolori la vita io sento,/ Un tuo sorriso mi schiude il ciel.”
(Aida, Atto II, primo quadro)
Lo splendore monumentale d’una mise en scène che apre le porte al flusso del tempo, le stelle della notte di sabato 11 Giugno per vegliare sopra un viaggio interiore, la folgorante rivelazione di un’Opera fondamentalmente intimista che nell’imo cresce di luce e si edifica nel buio, per imprimersi nella memoria: questo sarà ancora “Aida colossale”, grande rappresentazione verdiana presto in scena allo Stadio Meazza di San Siro. A costellare tale evento grandioso, come di consueto cesellato dalle dettagliate “Disposizioni sceniche” redatte dal grande compositore-regista Giuseppe Verdi fin dagli albori creativi dell’allestimento, un cast di oltre seicento artisti fra i quali solisti internazionali del calibro di Dimitra Theodossiou – straordinaria interprete del repertorio verdiano e belcantistico, soprano greco che impersonerà la principessa etiope Aida – nonché il tenore Walter Fraccaro nel ruolo del capitano Radamès; il mezzo-soprano Tichina Vaughn offrirà invece il proprio talento vocale ad Amneris, la figlia del Faraone, personaggio antitetico alla virtuosa protagonista.
Riproposta come un’eco in tutto il mondo a partire dalla prima, coinvolgente rappresentazione tenutasi il 24 Dicembre 1871 alla Khedivial Opera House del Cairo – e “Aida”, secondo la tradizione, fu commissionata a Verdi dallo stesso Kedivè d’Egitto per celebrare l’inaugurazione del teatro – pienamente dotata della più travolgente ‘onda sonora’ dal suo librettista Antonio Ghislanzoni – il quale a sua volta ricavò il soggetto da un’idea del celeberrimo egittologo francese Auguste Mariette – “Aida colossale” porterà nuovamente in scena lo splendore trionfale d’una civiltà lontana seppure inevitabilmente prossima nell’immaginario ottocentesco, mondo di simboli pervasivo immortalato da stampe e dagherrotipi raffiguranti le vestigia dell’Impero egizio finalmente riportate alla luce; “Aida colossale” darà voce al conflitto verdiano fra potere e individuo, fra convenzione e passione, fra Patria – tenace, abissale, struggente legame con il suolo natìo – e regno celeste infinito d’Amore.
“Sì, fuggiam da queste mura,
Al deserto insiem fuggiamo;
Qui sol regna la sventura,
Là si schiude un ciel d’amor,
I deserti interminati
A noi talamo saranno,
Su noi gli astri brilleranno
Di più limpido fulgor.”
(Radamès, Atto II, primo quadro)
Per una notte in cielo fra gli astri la dea Iside, radiosa stella del mattino che presiede alla vita, alla fertilità della terra (“Madre immortale e sposa,/ Diva che i casti palpiti/ Desti agli umani in cor”); per una notte, quattro Atti d’Opera ed un crescendo di luce: sorgerà in Menfi il Sentimento fra la schiava etiope Aida ed il giovane comandante egiziano Radamès. Lei vivrà per l’amore – oppressa e schiava in terra nemica – celerà la sua identità regale ed in segreto tesserà il conflitto fra libertà (identità, famiglia, patria ma morte dell’anima) e prigionia (annientamento, dissoluzione, consunzione ma Amore); lui trionferà come condottiero sull’esercito etiope, e poi vorrà cedere la sua gloria per salvare l’amata, ostaggio insieme al padre della sua stessa impresa vincente (“d’Egitto il trono/ Non val d’Aida il cor”). Il suo cuore svelerà ad Aida le trame del piano di guerra, e sarà tradimento della patria; per onore e lealtà, per fede e per amore, si offrirà prigioniero al sommo sacerdote: il rullo della Grancassa sancirà la condanna, i legni ed i fiati daranno ali agli amanti, la scenografia stupefacente mostrerà bipartita le tenebre della cripta nella quale spegnersi ancor vivi, e lo splendore del tempio di Vulcano. Come luce nella tomba, apice stellata dell’orchestra, Aida sorgerà dall’ombra: non è possibile fuggire alle “profumate rive” natìe, l’eternità nell’amore e i violini devono seguitare a suonare.
http://operacolossale.it/
Giada Eva Elisa Tarantino