Salviamo il soldato Manning
Mentre la star Julian Assange, in attesa di conoscere l’esito del suo ricorso contro l’estradizione in Svezia, si gode i suoi dorati arresti domiciliari nella lussuosa villa di campagna di Ellingham Hall nel Norfolk, scrivendo la sua biografia da un milione e mezzo di dollari e ricevendo inviti a parlare all’università di Cambridge, il soldato ventitreenne Bradley Manning, cui Mr.WikiLeaks deve gran parte della sua fama, marcisce da sette mesi in una prigione militare americana (nella caserma dei Marines di Quantico, in Virginia) dov’è sottoposto a trattamenti inumani e degradanti al limite della tortura.
Il giovane militare originario dell’Oklahoma, che per denunciare i crimini di guerra americani cui era stato testimone in Iraq decise di passare a WikiLeaks il famoso filmato dell’elicottero Usa che sparava su civili e giornalisti a Baghdad (poi pubblicato con il titolo ‘Collateral Murder’), è stato accusato di tradimento (‘aiuto al nemico’) e sottoposto a uno speciale regime detentivo: isolamento per 23 ore su 24 in una cella senza finestre, divieto di svolgere esercizio fisico e da alcuni giorni anche obbligo di dormire completamente nudo e di presentarsi così all’ispezione mattutina.
Per il Pentagono non c’è nessuno scandalo: si tratta della procedura standard di detenzione militare di massima sicurezza in modalità di ‘prevenzione di incidenti’, normalmente adottata per prigionieri a rischio di suicido.
Peccato che non sia il caso di Manning: le visite psichiatriche cui è stato sottoposto non hanno rivelato in lui nessun’inclinazione autolesionista.
“La decisione di spogliare ogni notte il mio assistito per un periodo di tempo indefinito è una misura punitiva senza alcuna giustificazione”, ha denunciato l’avvocato di Manning, David Coombs.
David House, amico di Manning, l’unico che ha il permesso di fargli visita in prigione ogni mese, ha dichiarato che Bradley è ormai in stato “catattonico” e con “forti difficoltà a comunicare”.
Queste tecniche di detenzione rientrano tra le ‘procedure operative standard di interrogatorio’ applicate dal 2002 nella prigione militare di Guantanamo nei confronti dei ‘nemici combattenti’: tra le ‘tecniche degradanti’ volte ad ammorbidire i prigionieri inducendo in loro un atteggiamento sottomesso, il denudamento viene prescritto come modo ”per dimostrare l’onnipotenza del catturatore e debilitare il detenuto”.
Evidentemente questi sistemi, lungi dall’essere stati aboliti come promesso da Obama, vengano ora applicati anche ai cittadini statunitensi.
“Denunciare un crimine di guerra non è un crimine”, è lo slogan della campagna per liberazione del soldato Manning (bradleymanning.org).
In una vera democrazia dovevano essere perseguiti i militari che hanno commesso questi crimini. Negli Stati Uniti di Obama, invece, i criminali di guerra vengono difesi e chi li ha denunciati viene accusato di tradimento e sottoposto a trattamenti vietati dall’articolo 16 della Convenzione dell’Onu contro la tortura del 1984.
Fonte Peacereporter