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Un antidiabetico contro il cancro

Un antidiabetico contro il cancro

Redazione

L’affascinante storia della metformina, un farmaco usato da decenni da milioni di diabetici e che da qualche tempo, in tutto il mondo, si sta studiando per un nuovo impiego: la lotta ai tumori

In tempi come questi fa piacere sapere che in mezzo a tanti farmaci innovativi dai costi proibitivi la lotta contro il cancro potrebbe trarre vantaggio anche da un vecchio medicinale, a bassissimo prezzo, usato da moltissimi anni e quindi ben conosciuto in tutti i suoi aspetti.

È la metformina, il più comune antidiabetico orale. All’Istituto dei tumori di Milano, Franco Berrino e i suoi collaboratori stanno già sperimentando come possibile strumento di prevenzione del cancro al seno in donne con sindrome metabolica, sovrappeso, ipertese o con livelli superiori alla norma di trigliceridi e colesterolo.

Ma non è l’unico possibile impiego. Uno studio americano pubblicato sulla rivista Cancer ha dimostrato che potrebbe essere un efficace trattamento contro il cancro dell’ovaio. I ricercatori hanno valutato i dati delle pazienti trattate per cancro all’ovaio alla Mayo Clinic di Rochester (Usa) tra il 1995 e il 2000, confrontando la sopravvivenza tra quelle che stavano assumendo la metformina perché diabetiche e quelle che non lo stavano facendo. Dall’analisi dei dati è emerso che il 73 per cento delle donne in trattamento con metformina erano vive a 5 anni dalla diagnosi a fronte del 44 per cento di quelle che non assumevano il farmaco. E la differenza diventava ancora più ampia quando si confrontavano donne simili per caratteristiche anagrafiche e per tumore.

Al tema nei mesi scorsi è stata dedicata una parte del convegno annuale dell’American Association for Cancer Research di Chicago. E da lì sono arrivate altre promettenti segnalazioni, secondo le quali la pastiglietta potrebbe svelare potenzialità nascoste anche nei confronti di inaspettate localizzazioni della malattia: quelle al fegato e perfino al pancreas, una delle forme di cancro ancora oggi più difficili da curare.

Prostata – L’azione dell’antidiabetico sulla prostata è stata studiata da Anthony M. Joshua, del Princess Margaret Hospital di Toronto, in Ontario. «Lo abbiamo somministrato tre volte al giorno a 22 uomini che dovevano ancora essere operati», ha spiegato al convegno. «In questo modo, oltre a verificare gli eventuali effetti del farmaco sull’andamento della malattia, abbiamo potuto confrontare le caratteristiche del tumore quando è stato asportato durante l’intervento con quelle che aveva prima del trattamento, al momento della biopsia».

Nei pazienti con il tumore è calato il giro vita e l’indice di massa corporea e si sono ridotti i livelli di glicemia a digiuno e del fattore di crescita per l’insulina (IGF-1), come accade nei diabetici.

«Non abbiamo ancora dati sulla sopravvivenza, ma in una parte degli uomini la crescita del tumore prima dell’intervento sembrava rallentata dalla cura» ha affermato l’oncologo, secondo il quale questi dati preliminari serviranno soprattutto a individuare i possibili meccanismi d’azione del farmaco in questo tumore e la sottopopolazione di pazienti, oltre ai diabetici, che potranno trarre vantaggio dalla terapia.

Fegato – «Noi invece ci siamo chiesti come mai quasi nessuno avesse approfondito il possibile ruolo di questo farmaco dalle mille risorse nel fegato, dove svolge prevalentemente la sua azione come antidiabetico», è intervenuto Geoffrey Girnun, ricercatore dell’Università del Maryland , dal sito di Cancer Prevention Research, giornale della stessa American Association for Cancer Research. «Su un modello animale abbiamo dimostrato la capacità della metformina di ostacolare lo sviluppo di tumori al fegato indotti sperimentalmente, che si sviluppavano invece con grande facilità nei soggetti che non ricevevano il farmaco». I ricercatori americani hanno anche indagato il meccanismo alla base del fenomeno: il medicinale blocca la sintesi dei grassi a livello epatico, un fenomeno implicato nella formazione di tumori al fegato in molte categorie di pazienti. Per questo, secondo lo studioso, bisognerebbe valutare se non sia opportuno dare il farmaco a scopo preventivo anche a obesi e altre categorie di persone, non solo ai diabetici.

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Pancreas – Tra le tante potenzialità di questo farmaco, sempre anticipate sul sito di Cancer Prevention Research , sembra ci sia anche la capacità di frenare la trasformazione di lesioni precancerose della bocca in carcinomi, o di aiutare i diabetici ad affrontare meglio il tumore del pancreas. Donghui Li, dell’MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas, ha messo a confronto circa 300 diabetici con questa forma di cancro, 117 dei quali in cura con la vecchia medicina. «Dopo un anno, la sopravvivenza dei malati che, oltre alle cure per il cancro, prendevano la pastiglietta per il diabete era superiore di quasi il 20 % a quella di chi teneva a bada la glicemia in altro modo; dopo due anni la differenza si è ulteriormente accentuata ed era quasi il doppio tra chi assumeva la metformina» spiega Li, che sottolinea come la differenza fosse evidente a tutti gli stadi della malattia, a meno che non fosse già in fase metastatica.

Cautele – Tutti gli studi presentati al Congresso di Chicago sono ancora estremamente preliminari e bisogna guardarsi quindi dal trarne conclusioni affrettate. Prima di prescrivere la sostanza a tutti, benché sia estremamente ben tollerata e provochi effetti collaterali di poco conto, occorre infatti accertarne non solo l’efficacia ma anche la sicurezza nei confronti di quegli stessi tumori che si intendono curare.

Tra tante voci entusiaste, per esempio, allo stesso congresso ce n’è stata una fuori dal coro. È quella di Richard Marais, docente di oncologia molecolare e direttore del Paterson Institute for Cancer Research di Manchester, in Inghilterra: «Abbiamo verificato che la metformina potenzia l’azione dei medicinali che bloccano la formazione di vasi sanguigni destinati a nutrire alcune forme di melanoma» spiega il ricercatore, che tuttavia mette in guardia: «Nei modelli animali, però, lo stesso farmaco, dato da solo, raddoppiava la velocità di crescita del tumore caratterizzato da una mutazione, detta BRAF. In questi casi, quindi, dovrebbe essere dato con cautela».

Insomma, anche il farmaco più innocuo può riservare qualche sorpresa. Anche per i vecchi farmaci più sicuri non ci sono scorciatoie: bisogna attendere i tempi della sperimentazione.
Roberta Villa

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