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L’India fa sognare il lusso

L’India fa sognare il lusso

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In Italia come altrove, marchi di lusso e agenzie di consulenza stanno seriamente occupandosi del mercato indiano. Parte delle nazioni in forte sviluppo del cosiddetto “BRIC” (Brasile, Russia, India e Cina), considerata dagli esperti come il 5° Paese mondiale per numero di consumatori nel 2025, l’India rappresenta un potenziale di crescita che fa sognare un buon numero d’investitori: la manna finanziaria per il lusso si attesterebbe secondo gli analisti alla bella cifra di 10 miliardi di euro nel 2015 (fonte A.T. Kearney), con una domanda per prodotti e servizi “4 stelle” in aumento dal 120 al 150%. E’ chiaro che, come per i territori confinanti, l’India contiene tutti gli ingredienti per una nuova “conquista dell’Est”. Sulla carta però… Perché nei fatti, gli introiti non sembrano esser stati così evidenti per i giganti del settore che, da una decina d’anni, avanzano su questo mercato con passo felpato.
Secondo Altagamma, l’associazione delle aziende del lusso italiane, su 500 griffe internazionali registrate, solamente 150 sarebbero ben introdotte sul territorio – contro le 350 in Cina ad oggi – con una forte dominante nel campo di orologeria e gioielleria (47%) e dei brand di prêt-à-porter ed accessori, che sono rappresentati però solo per il 14%. Perché allora questa “resistenza”, questa difficoltà ad entrare sul mercato indiano?

Generalmente, barriere tariffarie all’ingresso, forte tassazione sul posto e obbligo di trovare un partner per creare una società che non può essere costituita per più del 51% da capitali stranieri, rappresentano al momento dei “costi fissi” dissuasivi per la maggior parte delle aziende. Resta però il fatto che fino a tempi recenti, la Cina opponeva, a grandi linee, lo stesso tipo di barriere. “Ma da qui a un anno, un anno e mezzo, le aziende straniere dovranno poter possedere il 74% delle joint-venture”, precisa Alain Bogé, consulente ed ex imprenditore, che segue una missione della federazione del prêt-à-porter, sul posto da inizio maggio. “Economicamente, i diritti doganali sono largamente calati. Sono convinto che questo sia il mercato del futuro, con un livello di qualità di vita che aumenta lentamente, ma regolarmente, dal 1991. Ci sono tre milioni di famiglie che vivono nel lusso e 50 milioni di ricchi. E’ comunque indispensabile avere pazienza. L’India è un mercato difficile culturalmente, con delle grandi differenze geografiche, dove il rapporto che si ha con il tempo è diverso”.
I marchi occidentali devono dunque far proprie alcune basi culturali prima di avviare una qualsiasi relazione commerciale con le aziende indiane. “Bisogna capire che la religione impregna di sé tutti i meccanismi della società indiana”, puntualizza Aude Jacques Le Seigneur, consulente di CFP Asia. Per gli Indù poi, il mondo è un’apparenza, l’uomo deve dunque liberarsi delle contingenze materiali. La percezione del mondo è ciclica. Se manca qualcosa, questa tornerà più tardi. Laddove l’europeo cerca il perché, l’indiano si chiede come. Aggiungete a questo la famiglia, che è il cemento di ogni successo. Tutti gli indiani fanno parte di una rete che ha un capofamiglia. Ecco perché il 90% delle aziende indiane private sono familiari. Al loro interno, i membri della famiglia rivestono funzioni importanti, ma l’imprenditore occidentale deve trovare le persone competenti dentro l’azienda e trattare con loro senza offendere la gerarchia ufficiale”.
Da qui la particolarità del mercato indiano. “L’India è entrata da questi ultimissimi anni in una fase di mutamento”, ha spiegato Max Jean Zins, direttore al CNRS del Programma di Cooperazione in Scienze Sociali tra Francia, India e le nazioni del Sud dell’Asia, in occasione degli incontri del Club Luxe dell’Adetem. E, in questa fase di mutazione, l’attrazione per i marchi di lusso non si smentisce. “In cinque anni che mi muovo su questo mercato, ho notato un vero sviluppo delle infrastrutture per il lusso”, spiega François Arpels, managing director per Bryan Garnier&Co e responsabile delle operazioni e delle transazioni sul mercato indiano per vari marchi di lusso. Essendo gli immobili nel centro-città molto cari, il lusso si è sviluppato nei centri commerciali di periferia, che offrono tutti i confort e la sicurezza necessaria. L’e-commerce si è sviluppato notevolmente, grazie soprattutto a quattro siti web: fashionandyou.com, 99labels.com, brandmile.com e theprivatesales.com. C’è un reale e competente apprezzamento della qualità in India, con una fortissima tradizione nella confezione di stoffe e tessuti in genere”.
E Véronique Polès, consulente specialista per l’India, aggiunge, sempre in occasione degli incontri del Club Luxe dell’Adetem, che “arrivare con una pura e semplice replica di ciò che è venduto in Occidente sarebbe un grave errore”. In più, in tutti i settori, quasi il 60% degli acquisti di lusso sarebbero realizzati da uomini.
Dalla metà degli anni 2000, LVMH sta osservando con attenzione i brand locali. Il gruppo ne avrebbe in repertorio già un centinaio, secondo Daniel Piette, PDG di L Capital Francia. Dei marchi che, come per la catena di gioielli Gitanjali recentemente acquistata dal numero uno del lusso, consentono di aprire direttamente le porte al mercato indiano. Per Marc-Antoine Jamet, segretario generale di LVMH, “ci troviamo in un momento cardine. Cinque anni addietro, era forse troppo presto, il nostro sviluppo sarebbe stato prematuro. Fra cinque anni invece, sarà forse troppo tardi. Siamo in un buon momento”.
In sostanza, se Hermès è uno dei pionieri nella regione, è perché la maison del Faubourg ha saputo stabilire rapidamente un legame privilegiato con la cultura locale. Seta, tessuti, profumi, mescolano i riferimenti con i gusti e le affinità della popolazione. “Hermès ha lavorato su questo posizionamento con degli artigiani indiani”, spiega François Arpels. “In più, dal 2007, Hermès è in partnership con la famiglia Khanna, che possiede la catena Oberoi. Io penso che sia stato molto coerente apporre la propria firma nell’industria alberghiera di alta gamma, che offre uno stile di vita adeguato all’immagine di Hermès. Hermès è anche il primo brand internazionale ad aprire un negozio nel centro della città. Non è nella cultura indiana, ma il quartiere, piuttosto vicino al Taj Mahal, con varie boutique di arredamento, il concept-store Bombay Electric e un gran numero di grand hôtel, possiede tutte le caratteristiche per diventare il triangolo d’oro della città”. Non c’è dubbio che gli altri protagonisti del settore osserveranno molto da vicino i risultati di questa apertura.
Alcuni di loro hanno peraltro già seguito Hermès nella sua strategia di pensare globale ed agire locale. Marc Jacobs ha creato una capsule collection “sari” per l’India, Montblanc ha lanciato la collezione Gandhi. Infine, altro punto molto importante: la “mall mania”. Nel 2007, 3 città, Mumbai, Delhi e Kolkata, concentravano al loro interno i consumi indiani. Oggi, Véronique Polès consiglia di “lanciarsi fuori dalle grandi città”. Esistono 35 città di più di un milione d’abitanti, una ventina di città potenzialmente interessanti saranno prese in considerazione per l’insediamento di un brand di lusso.

Fonte Fashion Mag

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